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Paola De Pin – Senato della Repubblica

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Intervento sul DDL n. 825 – Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Posted on settembre 5, 2013 by Paola
Ambiente Calabria Campania Commissione Antimafia Ecomafia Organizzazioni criminali Paola De Pin Rifiuti tossici Sicilia

Ecomafia[1]Seduta n. 70 – mercoledì 17 luglio 2013

Assemblea (in discussione generale)

Sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso in Italia si è detto e scritto molto. Dagli anni ’60, quando si prese coscienza in sede parlamentare del fenomeno mafioso, fino all’ultima commissione antimafia della precedente legislatura, sono stati numerosi gli sforzi per investigare e conoscere la malavita nel nostro paese.

L’infiltrazione della criminalità organizzata nel nord Italia, la penetrazione delle mafie straniere nel nostro paese, le collaborazioni internazionali tra bande – che con il tempo hanno creato dei veri e propri cartelli del crimine – hanno bisogno di un continuo studio e indagine da parte del legislatore e di una sempre maggiore collaborazione con la magistratura e le forze di polizia che quotidianamente si dedicano alla lotta alle mafie.

Il DDL 825 istituisce una Commissione parlamentare di indagine sulle mafie, anche straniere. Per la prima volta si parla di mafie, al plurale. Il fenomeno mafioso infatti non può più essere circoscritto alla mafia siciliana o alle altre organizzazioni “tradizionali”. Sempre più soggetti stranieri operano nel nostro territorio in maniera trasversale e collaborativa con le associazioni criminali nostrane.

Bisogna avere però il coraggio di ammettere che, in alcune occasioni, la lotta alla mafia non sempre è riuscita a centrare completamente l’obiettivo. La memoria va all’inizio della storia repubblicana, quando lo Stato combatté il banditismo pensando in questo modo di sconfiggere la mafia. In quell’epoca Cosa Nostra era prevalentemente agraria e nemica del nascente sindacalismo contadino in Sicilia, tanto da perpetrare la strage di Portella della Ginestra nel 1947.

Nel corso della nostra storia recente sono stati molti i martiri della lotta alla mafia. Vorrei quindi ricordare in questa sede i magistrati, i membri delle forze dell’ordine e anche i politici uccisi nel tentativo di sconfiggere definitivamente il crimine organizzato in Italia.

La mafia però sembra essere sempre un passo avanti al legislatore. Quando il Parlamento approva una legge per contrastare uno specifico aspetto del fenomeno mafioso, i criminali stanno già indirizzando la loro attività delinquenziale verso nuovi affari, mutando anche la loro stessa struttura organizzativa.

E’ per questo che tra i poteri d’inchiesta della Commissione penso debba esserci quello di indagare il fenomeno delle Ecomafie, ovvero, tutte quelle attività illegali delle organizzazioni criminali che arrecano danni all’ambiente.

In particolare, sono generalmente definite Ecomafie le associazioni criminali dedite al traffico e allo smaltimento illegale di rifiuti e all’abusivismo edilizio su larga scala. Anche attività quali l’escavazione abusiva, il traffico di animali esotici, il saccheggio dei beni archeologici e l’allevamento di animali da combattimento possono essere considerate in questo modo.

Quella delle Ecomafie è l’unica economia che continua a proliferare anche in un contesto di crisi generale. Un’economia illegale che si regge sull’intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, professionisti senza etica e boss criminali. Le mafie ambientali operano la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti. Semplicemente perché conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali, infatti, continuano ad essere quasi limitate alle sanzioni amministrative e l’abbattimento degli edifici continua ad essere una eventualità remota. La fotografia che realizza Legambiente nel suo rapporto annuale sulle Ecomafie è implacabile e descrive un paese dove la criminalità ambientale dilaga e aumenta a dismisura i suoi profitti.

Questi i dati relativi al 2012 diffusi da Legambiente nel suo ultimo rapporto sulle Ecomafie:

34.120 reati, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno.

Il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2%) e dalla Toscana (+15,4%). Prima regione del Nord Italia, la Liguria. Da segnalare per l’incremento degli illeciti accertati anche la mia regione, il Veneto, con un +18,9%, e l’Umbria.

Crescono anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica (+6,4%), sfiorando quota 8.000, a una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno più anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro paese: esattamente +4,6%.

È la Campania a guidare anche quest’anno la classifica dell’illegalità ambientale nel nostro paese, con quasi 5.000 infrazioni accertate, più di 3.000 persone denunciate e 34 arresti. E il discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento sia per quello dei rifiuti.

Proprio in Campania, la pratica criminale di smaltire o riciclare i rifiuti speciali bruciandoli, oramai va avanti da molti, troppi anni. Si continua come se niente fosse. Sempre negli stessi luoghi.

I reati possono avvenire ad ogni livello del ciclo dei rifiuti: produzione, trasporto e smaltimento. Il produttore può dichiarare il falso sulla quantità o sulla tipologia di rifiuti da smaltire, oppure incaricare dell’operazione imprese che lavorano sottocosto, essendo a conoscenza del fatto che utilizzeranno metodi illegali. A livello di trasporto, possono venire manomessi i documenti di classificazione della merce, in modo da dirottare il carico o farlo scomparire.

Lo sversamento illegale di rifiuti tossici e ordinari, come raccontato dallo scrittore Roberto Saviano in Gomorra, rappresenta un affare molto lucrativo. Nella “Terra dei Fuochi”, quell’area della Campania così conosciuta per i roghi dei cumuli di immondizia, il fatturato dell’Ecomafia è stato di 44 miliardi di euro in 4 anni. Un business in crescita esponenziale, paragonabile solo all’espansione del mercato della cocaina.

Dagli anni ’90 i clan camorristici sono i leader continentali dello smaltimento dei rifiuti. Il clan dei Casalesi in primis, ma non solo. Anche il clan dei Mallardo di Giuliano è molto attivo nella mafia ambientale.

L’inquinamento del proprio territorio e il peggioramento della qualità di vita dell’intera comunità, provocando malattie respiratorie, asma, tumori, non sono in grado di fermare l’ansia di enormi profitti immediati da parte dei clan.

Per abbattere i costi dello smaltimento dei rifiuti, imprenditori senza scrupoli del nord Italia affidano i loro rifiuti ai boss della camorra. Occorre quindi indagare in maniera approfondita i rapporti tra le aziende del nord e i clan che si dedicano allo smaltimento illegale dei rifiuti. Ogni anno centinaia e centinaia di camion portano in Campania vere e proprie montagne di rifiuti che distruggono il territorio e la salute dei cittadini che lì ci vivono.

Come ha scritto Saviano, le campagne del napoletano e del casertano sono “mappamondi della monneza”, riflesso illegale della produzione industriale italiana. Il sud Italia, quindi, come la discarica abusiva dell’Italia ricca e industrializzata, secondo la triste definizione del vescovo di Nola.

L’inquinamento da diossina dei terreni è estremamente pericoloso perché introduce sostanze tossiche nella catena alimentare degli animali da allevamento e raggiunge anche l’uomo. Tutti ci ricordiamo come nel marzo 2008 furono riscontrate presenze di diossina nel latte di bufale provenienti da allevamenti del casertano, attribuite all’inquinamento ambientale. A seguito della notizia, la vendita di prodotti caseari della Campania è diminuita significativamente, non solo in Italia, ma anche all’estero. Il danno provocato dalle mafie ambientali è pertanto molteplice.

L’Italia è anche crocevia di traffici internazionali di rifiuti, provenienti dai paesi europei e destinati in Nigeria, Mozambico, Somalia, Romania e ultimamente anche nei paesi asiatici. Le ramificazioni delle mafie ambientali si sconfiggono quindi grazie anche ad accordi internazionali. Per questo è fondamentale la creazione di uno spazio giuridico antimafia nell’Unione europea.

La criminalità ambientale sa cogliere tutte le nuove opportunità offerte dalla globalizzazione: l’Ufficio centrale antifrode dell’Agenzia delle dogane segnala che i quantitativi di materiali sequestrati nei nostri porti nel corso del 2012 sono raddoppiati rispetto al 2011, passando da 7.000 a circa 14.000 tonnellate grazie soprattutto ai cosiddetti cascami, cioè gli scarti riutilizzabili provenienti dalla lavorazione di un altro prodotto. Materiali che dovrebbero essere destinati ad alimentare l’economia legale del riciclo e che invece finiscono in Corea del Sud (è il caso dei cascami di gomma), Cina e Hong Kong (cascami e avanzi di materie plastiche, destinati al riciclo o alla combustione). Questi flussi garantiscono enormi guadagni ai trafficanti e un doppio danno per l’economia legale. Il primo perché si pagano contributi ecologici per attività di trattamento e di riciclo che non vengono effettuate e il secondo perché vengono penalizzate le imprese che operano nella legalità.

Consentire alla magistratura e alle forze dell’ordine di intervenire in maniera adeguata perché frutto di un’attenta e obiettiva valutazione dei fenomeni criminali, delle loro cause e delle loro conseguenze dovrebbe essere uno degli obiettivi principali della Commissione parlamentare Antimafia.

Inoltre, i numeri e le inchieste legate al fenomeno delle Ecomafie impongono l’adozione di un pacchetto di misure legislative indispensabili per contrastare in maniera decisamente più efficace la minaccia rappresentata dai fenomeni di criminalità ambientale che avvelenano il nostro paese.

Lottare contro le Ecomafie significa quindi tutelare la salute dei cittadini, salvaguardare l’ambiente e il nostro territorio e per ultimo incrementare le attività produttive sane del nostro paese.

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