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Paola De Pin – Senato della Repubblica

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Conferenza. #NoGuerraNoNato

Posted on aprile 22, 2015 by Redazione
Afganistan Alex Zanotelli dinalio featured franco Cardini Giulietto Chiesa Libia Morti NoGuerraNoNato
NoGuerraNoNato

NoGuerraNoNato

 

 

 

 

 

 

 

Il mio intervento:

E’ per me motivo di grande onore dare il via a questo incontro, con il  quale vogliamo presentare il progetto di legge per l’uscita dell’Italia dalla NATO  e, soprattutto, iniziare una campagna di sensibilizzazione  rivolta a tutti i cittadini.

Abbiamo voluto chiamare questa iniziativa NO GUERRA NO NATO. La ragione di questa scelta è scritta nelle vicende degli ultimi due decenni. Con la fine della guerra fredda ed il crollo dell’URSS la NATO, da alleanza difensiva, quale avrebbe dovuto essere, si è trasformata in un potente strumento di aggressione e distruzione.

E’ quasi superfluo ricordare le guerre in Libia, in Iraq, in Afganistan e, prima ancora, il bombardamento di Belgrado, uno degli episodi più tristi della recente storia europea. Questi interventi  hanno provocato decine di migliaia di vittime (in larghissima parte civili) creando dei vuoti di potere in cui si sono facilmente inseriti i violenti,  i fanatici e i terroristi. In buona sostanza, milioni di persone, tra il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, sono state trascinate in una endemica situazione di caos e guerra civile.

Per arrivare a questo brillante risultato non si è esitato a ricorrere alle più sfacciate menzogne. L’ esempio più clamoroso (ma non certo l’unico) è quello rappresentato dalla bottiglietta esibita al palazzo di vetro dell’ONU dal segretario di stato americano Colin Powel, quale prova  delle armi chimiche possedute da Saddam Hussein. Si trattò, come tutti ormai ammettono, di un miserabile pretesto per scatenare la sciagurata invasione dell’Iraq.

E’ alla luce di tutto questo, dunque, che noi diciamo FUORI L’ITALIA DALLA NATO.

Non si tratta di uno sterile grido estremista. Per quanto mi riguarda, penso di essere una persona tendenzialmente moderata  ed incline al compromesso. Per molto tempo ho pensato che la politica bellicista potesse essere fermata senza rotture clamorose. L’elezione di Obama, in particolare, aveva suscitato grandi speranze in me come, credo, in molti altri. Purtroppo, nel momento in cui il presidente si avvia a concludere il suo secondo mandato, bisogna riconoscere che queste aspettative sono state deluse.

Non solo non vi è stato alcun sostanziale cambiamento di indirizzo rispetto alla precedente politica mediorientale  degli Stati Uniti, ma si è addirittura aperto un nuovo contenzioso, questa volta con la Russia. In Ucraina, un presidente – magari pessimo, ma regolarmente eletto – è stato cacciato non tramite un voto del parlamento, ma in seguito a manifestazioni violente di militanti pagati ed armati dall’estero.

Il nuovo governo, non appena insediato, ha pensato bene di scagliare l’esercito contro il suo stesso popolo, aggredendo, in un’assurda lotta fratricida, le regioni del Donbass e provocando l’ennesima insensata carneficina. Il  tutto con il fine di portare il paese nella NATO e di rendere impossibile ogni intesa politica ed economica tra Europa e Russia. Registi di questa operazione sono stati gli Stati Uniti, con l’attiva complicità delle cancellerie europee . Solo il sussulto, peraltro tardivo, di  Francia e Germania ha impedito che il mondo precipitasse nel baratro di una guerra dalle proporzioni difficilmente immaginabili.

Di fronte a tutto questo – quando, cioè,  anche un presidente teoricamente aperto come Obama agisce in  modo irresponsabile – è evidente che i margini di mediazione vengono meno.

Bisogna essere consapevoli che  la sfida che abbiamo di fronte è estremamente difficile. In primo luogo perché la nostra è una battaglia per il momento minoritaria: sia nel Parlamento sia, probabilmente,  nella società. In secondo luogo perché i nostri avversari hanno dalla loro parte illimitati e sofisticati  strumenti, coi quali  possono condizionare l’opinione pubblica ed indirizzarne gli umori. A tutto questo noi possiamo soltanto contrapporre l’autorità morale ed il prestigio culturale delle persone che parleranno dopo di me e la buona volontà dei cittadini consapevoli.

La sproporzione di forze è dunque enorme.

E tuttavia si tratta di una battaglia che va fatta e va fatta ora. Non solo per ragioni di ordine morale. Il ” NO alla  GUERRA, NO alla NATO” che noi pronunciamo non è un vuoto slogan. Dietro queste parole, si può, nel tempo,  delineare un programma positivo, di cui già si intravvedono alcuni punti:

•         una politica estera europea autonoma e svincolata dalle ipoteche atlantiche;

•         un comune esercito europeo, da impiegarsi –  naturalmente -non per aggredire il prossimo, ma con funzioni di reale pacificazione;

•        rapporti improntati all’ amicizia e al dialogo con tutti: con gli Stati Uniti, certamente, ma anche con le altre nazioni;

Mi rendo conto che questi obiettivi possono sembrare lontani se non utopici. Essi però costituiscono dei prerequisiti indispensabili perché l’unità europea non poggi sui piedi d’argilla della moneta e della finanza, ma su valori umani condivisi. La loro mancata attuazione – temo – consegnerebbe ai nostri figli e ai nostri nipoti un mondo dominato dalla lotta fra i poveri, dai conflitti etnici e religiosi, e dalla guerra.

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